lunedì 13 maggio 2013

IPODERMOCLISI (Questa sconosciuta)

L' altro giorno mi sono imbattuto in una richiesta abbastanza inconsueta da parte di alcuni parenti di un paziente.... per telefono mi hanno chiesto un parere riguardo l' ipodermoclisi visto che il paziente in questione a cui avevo già somministrato una flebo per via parenterale presentava accessi venosi sempre piu' difficoltosi.
Premesso che la via elettiva in questi casi è il CVC che erroneamente si lascia sempre come ultima scelta, comunque mi sono adoperato per approfondire l' argomento IPODERMOCLISI.

A dire la verita' ero molto scettico sulla questione, sapevo che fosse una pratica oramai in disuso da decenni
tant'è vero che neanche sull' enciclopedico libro "Assistenza infermieristica clinica" di Perry-Potter (eh si, si chiamano proprio cosi') l' ho trovata menzionata....

Cercando ancora pero' ho scoperto cose interessanti:

recentemente ci sono state delle rivalutazioni riguardo la vecchia IPODERMOCLISI ma procediamo con ordine:


L' IPODERMOCLISI è una tecnica che consiste nella somministrazione sottocutanea di grandi quantità
di liquidi ed elettroliti (soluzione salina allo 0.9% o allo 0.45%), al fine di ricostituire il patrimonio
idrosalino di pazienti modicamente disidratati, in cui sia impossibile la somministrazione per via
orale od endovenosa.
E' utile anche per la somministrazione di glucosio al 5%.
Essa risulta particolarmente indicata in pazienti con problemi di deglutizione o con vene molto
sottili e particolarmente fragili. E' meno indicata nei casi di disidratazione severa, che necessitino di
larghe quantità di fluidi o nei casi in cui il quantitativo da somministrare deve essere esattamente
calcolato, come nello scompenso cardiaco o nella insufficienza renale.
La somministrazione va effettuata con un comune ago butterfly, preferenzialmente in sede
addominale, ascellare o toracica sottoclavicolare (con possibilità di rotazione delle sedi),
eventualmente aggiungendo l'enzima ialuronidasi che facilita la diffusione.
Tale tecnica, largamente utilizzata fino agli anni '50, è successivamente caduta in disuso e poi è stata completamente abbandonata.
Sono stati chiamati in causa, a giustificazione di questo abbandono, presunti effetti collaterali, che in realtà sono inerenti ad un uso non corretto della tecnica.
Quando vengono infuse soluzioni ipertoniche rispetto al mezzo extracellulare si verifica un richiamo di liquidi nel sottocute,con contrazione del volume circolante, aumento dell'ematocrito, e possibili effetti emodinamici
negativi.
Quando la velocità di infusione supera la perfusione ematica locale e le conseguenti
possibilità di riassorbimento, il ristagno di fluidi in sede di iniezione può essere fonte di sofferenza
ischemica.
Tuttavia, se vengono adottate le precauzioni del caso e se la sorveglianza è attenta, questi
inconvenienti non si verificano e l'assorbimento di fluidi e di elettroliti somministrati sottocute è del
tutto comparabile a quello della somministrazione endovena, come hanno provato studi "ad hoc",
condotti con acqua ed elettroliti marcati.
Si aggiungano diversi vantaggi pratici, quali la possibilità di mantenere aperta a lungo la linea di
somministrazione senza rischio di trombosi venose, e di evitare l'utilizzo degli arti, consentendo al
paziente di muoversi liberamente nel letto.
Il sottoutilizzo di questa tecnica è inspiegabile, ed è probabilmente da ricondursi alla ignoranza, alle
mode ed alla scarsa informazione.

In Germania nel 2003 venne effettuato un interessante studio a riguardo:

Vennero selezionati 96 pazienti (età media 85.3 anni) ricoverati in reparti ospedalieri e con segni
clinici di lieve o moderata disidratazione. I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi di 48
soggetti ciascuno: il primo riceveva l’idratazione mediante somministrazione venosa di liquidi,
fisiologica e glucosata, e il secondo riceveva la stessa infusione mediante ipodermoclisi.
L’infusione in entrambe i gruppi fu sospesa quando si modificarono i parametri clinici di
disidratazione.
Durante tutta la durata dello studio (20 mesi) medici e infermieri compilarono un modulo
predisposto per la registrazione degli effetti avversi, della fattibilità e delle difficoltà incontrate
nell’utilizzo dell’una o dell’altra tecnica.
Per ciascun paziente ammesso allo studio vennero registrati i dati di laboratorio, i dati clinici, gli aspetti funzionali (mediante l’indice di Barthel) e l’orientamento. A ciascun paziente venne chiesto di esprimere utilizzando una scala numerica da 1(molto buono) a 6 (pessimo) il grado di comfort durante l’infusione.

Il volume medio fu di 750 ml/giorno attraverso l’ipodermoclisi e di 1000 ml/giorno attraverso
l’infusione venosa. Il protocollo dello studio prevedeva la possibilità di cambiare la via di
somministrazione se vi erano le indicazioni mediche o etiche per farlo.
A causa della durata media della somministrazione che fu di 6 giorni, un tempo relativamente lungo se confrontato con la durata di altri studi simili, si verificò un numero elevato di “passaggi” da una via di
somministrazione all’altra e si vennero a creare 4 sottogruppi (solo endovena, solo sottocute, da
endovena a sottocute, da sottocute a endovena). In 13 pazienti la via di somministrazione venne
cambiata da ipodermo a venosa (ipodermo/e.v. sottogruppo) ciò avvenne in 11 casi per l’esigenza di
disporre di un accesso venoso e in due casi a causa dello scarso riassorbimento dei liquidi infusi. In
17 pazienti ci fu una variazione da endovenosa a ipodermo (e.v/ipodermo sottogruppo)
principalmente a causa dell’impossibilità di reperire un accesso venoso (8 volte) o della rimozione
continua dell’ago canula (5 volte)
Il comfort, che era l’esito principale che si indagava, risultò elevato in tutti i gruppi, tranne nei
pazienti che passarono dalla terapia endovenosa all’ipodermo. I pazienti di questo gruppo
segnalarono un comfort molto basso (con un punteggio medio di 5.5 contro un punteggio medio di
2 degli altri gruppi). Gli Autori sostengono che molto probabilmente ciò è spiegabile con il fatto che
la terapia non veniva sospesa come auspicavano e si aspettavano i pazienti, ma continuava
attraverso un’altra via di somministrazione.
L’efficacia delle due diverse vie di somministrazione ai fini della risoluzione della disidratazione fu
indagata attraverso la raccolta di dati clinici e di laboratorio: si registrarono: pressione arteriosa,
frequenza cardiaca, ematocrito, sodiemia, creatinina all’inizio della terapia, il giorno successivo
all’inizio e al termine della terapia. I dati raccolti mostrano un miglioramento dei parametri di
laboratorio al termine del periodo di studio in entrambi i gruppi (endovena e ipodermo) senza
differenze statisticamente significative.
Sostanzialmente sovrapponibili sono risultati anche i dati relativi all’orientamento nello spazio e nel
tempo nei due gruppi, Non si sono altresì evidenziate limitazioni funzionali conseguenti. In
entrambe i gruppi, compatibilmente con la situazione clinica, il punteggio all’indice di Barthel al
termine della terapia infusiva era migliore rispetto alla valutazione iniziale.
Entrambi i metodi utilizzati hanno causato pochi effetti avversi e in numero simile in entrambi i
gruppi: l’insufficienza cardiaca acuta si verificò due volte nel gruppo reidratato mediante
ipodermoclisi e quattro volte nel gruppo in cui si utilizzo l’infusione per via venosa; l’iponatriemia
venne rilevata una volta nel gruppo sottoposto ad ipodermoclisi e due volte nel gruppo infuso
mediante accesso venoso.
In alcuni pazienti si verificarono effetti locali (29 nel gruppo sottoposto ad ipodermoclisi e 24 nel
gruppo con infusione venosa), la maggior parte di limitata estensione.
Gli effetti avversi di maggior entità (edema diffuso, flebiti, cellulite, eritema e dolore forte) si
verificarono in nove pazienti sottoposti a ipodermoclisi e in otto pazienti con infusione venosa.
Gli autori dello studio concludono affermando che la reidratazione tramite ipodermoclisi è
ugualmente ben accettata dai pazienti anziani allo stesso modo della somministrazione di liquidi
endovenosa. ed offre una fattibilità simile a quest’ultima. In aggiunta, nei pazienti confusi e in
coloro in cui l’accesso venoso è difficile essa rappresenta il miglior metodo per la reidratazione.
Entrambi i metodi danno risultati simili in termini di sicurezza ed efficacia.


Ricapitolando: L' Ipodermoclisi è stata negli ultimi decenni sottovalutata ed ignorata ma in realta' si presenta come validissima alternativa alla tradizionale terapia infusionale parenterale.

mercoledì 4 aprile 2012

NOVITA' E.C.M  3/4/12

Nuove regole per l’Ecm, l’Educazione continua in medicina.
Agenas e tecnici di ministero e regioni hanno preparato un documento che delinea le novità e che andrà all’esame della Conferenza Stato Regioni.
Il sito Quotidianosanita presenta il documento evidenziando alcune delle novità.

Come diventare provider Ecm
I provider che soddisfano i requisiti minimi avranno “un accreditamento provvisorio valido al massimo per due anni. L’accreditamento definitivo potrà essere richiesto dopo 12 mesi, per i soggetti che hanno almeno tre anni di esperienza nel campo, o 18 mesi, per i nuovi provider.
Inoltre ogni anno il 10% dei provider dovrà essere ispezionato dall’Ente che lo ha accreditato”.

Crediti formativi per il triennio 2011-2013
“Confermati in 150 i crediti formativi richiesti complessivamente per il triennio. Per ogni anno i professionisti dovranno acquisire un minimo di 25 crediti e un massimo di 75. Sarà possibile farsi riconoscere anche un massimo di 45 crediti riportati dal triennio precedente 2008-2010.
Per i professionisti sanitari del territorio abruzzese colpito dal terremoto del 2009, i crediti formativi richiesti per il 2011 sono ridotti a 30, con un minimo di 15.  
Maggiore flessibilità sui crediti annui per i liberi professionisti.(…) Proprio per rispondere alle loro esigenze formative si è data la possibilità ad Ordini, Collegi e associazioni professionali di organizzare corsi su materie tecnico-professionali, che però non potranno avere sponsorizzazioni commerciali e dovranno essere gratuiti o a costo minimo”.
Il documento indica le regole anche per i crediti Ecm acquisiti per formazione all’estero o autoformazione e per il tutoraggio per tirocini.

Obbiettivi formativi
“Indicati come di particolare rilievo per il Ssn e i Ssr le tematiche legate all’umanizzazione delle cure e terapia del dolore e alla qualità dei sistemi e dei processi clinico assistenziali”.

Sanzioni
Il nuovo sistema di formazione dovrebbe prevedere anche sanzioni per i professionisti sanitari che non conseguono i crediti Ecm.

Ovviamente tutte queste cose sono ancora da definire e potrebbero saltare fuori nuove importanti novità.

Teniamoci aggiornati! In tutti i sensi!!

mercoledì 28 marzo 2012

Liquirizia VS Pressione Bassa

Con questo post posso inaugurare la sezione "MITI DA SFATARE"

Stamani mi è capitato a lavoro che 2 colleghe mi chiedessero di misurare la pressione arteriosa sentendosi "un po' giù".
Effettivamente erano un po' bassine (95/60 - 90/65)
Devo dire che questa scena avviene fortunatamente non all' ordine del giorno ma spesso.
Evidentemente i paesini in montagna vanno in controtendenza rispetto al resto della popolazione che invece naviga su ritmi di Ipertensione.
In seguito mi hanno chiesto un rimedio veloce per questo problemino e senza esitare ho consigliato loro di portare con sè delle caramelline (ma poche unità) di caramelle alla liquirizia.
Una delle "ragazze" mi ha contestato il consiglio annoverando la liquirizia nell' elenco delle sostanze che invece abbassano la P.A come per esempio l' aglio.Quest' idea è purtroppo diffusa.
Abbastanza perplesso non mi sono comunque sottratto dal fare un passo indietro e appena tornato a casa ho fatto una piccola ricerca.Ne è venuto fuori che:

La Liquirizia grazie al contenuto della glicirrizina aumenta la Pressione Sanguigna.

Ovviamente come in tutte le cose bisogna stare attenti a non abusarne, quindi evitiamo di consumare tonnellate di rotelle di liquirizia comprate al mercato.
A causa dei suoi effetti aldosterone-simili, per i quali può causare ritenzione idrica, aumento della pressione e perdita di potassio, la liquirizia non dovrebbe essere assunta a dosi superiori a 3 g/die e per più di 6 settimane.

Vi elenco qui anche tutte le restanti proprietà benefiche della liquirizia:
  • Per combattere tosse e catarro è perfetto un infuso che va preparato con 2 gr di liquirizia per 100 ml di acqua bollente.
  • Per facilitare la digestione assumere un cucchiaino di tintura dopo i pasti. Per preparare la tintura di liquirizia lasciate macerare per 2 settimane 20 gr di radici in 100 ml di alcool a 20°.
  • Contro infiammazioni delle gengive o mal di gola e per combattere l'alitosi masticare un bastoncino di radice.
Le proprietà antiinfiammatorie e cicatrizzanti della liquirizia la rendono un ottimo rimedio naturale per infiammazioni cutanee (eczema, psoriasi, herpes e dermatiti). Per questo in commercio esistono molte preparazioni per uso esterno a base di liquirizia ad azione protettiva, lenitiva e antibatterica per pelli sensibili.


In conclusione:
Popolo di ipotesi, portatevi sempre con voi qualche caramellina alla liquirizia e ne trarrete giovamento!

Spero di essere stato d' aiuto anche stavolta!

mercoledì 21 marzo 2012

Nuovo corso Fad sulla "Sicurezza dei pazienti e degli operatori"

Ecco a voi un altro post molto utile, riguardo i famosi crediti ECM. Corso molto interessante, richiede un po' di tempo (circa 1 ora e mezzo) ma merita davvero.

 

Al via un nuovo corso Fad sulla "Sicurezza dei pazienti e degli operatori" Il percorso formativo sul Governo clinico si arricchisce di un ulteriore step, che offre agli operatori sanitari strumenti culturali e operativi per affrontare la gestione del rischio clinico nella pratica professionale quotidiana

Ha preso il via il nuovo Corso Fad sulla Sicurezza dei pazienti e degli operatori, terzo step del Corso sul Governo clinico promosso dal Ministero della Salute in collaborazione con IPASVI e FNOMCeO.
Come di consueto anche questo corso – che assegna 15 crediti ECM – viene proposto inizialmente in modalità web (www.fadinmed.it), ma nei mesi successivi potrà essere seguito anche tramite eventi residenziali organizzati sulla stessa tematica dai vari Collegi provinciali.
La sicurezza dei pazienti è uno dei fattori che determinano la qualità delle cure ed è quindi uno degli obiettivi prioritari che il Servizio Sanitario Nazionale si pone. Lo sviluppo di interventi efficaci è strettamente correlato alla comprensione delle criticità dell’organizzazione e dei limiti individuali e richiede una cultura diffusa che consenta di superare le barriere per l’attuazione di misure organizzative e comportamentali volte a promuovere l’analisi degli eventi avversi, a raccogliere gli insegnamenti che da questi possono derivare e a favorire gli atti utili per prevenirli.
Un parte del Corso è dedicata anche alla sicurezza dei professionisti e dei luoghi di lavoro nella consapevolezza del ruolo fondamentale che in questo processo riveste il benessere organizzativo, relazionale e lavorativo di tutti gli operatori sanitari.
A conclusione del corso l’operatore sanitario dovrà essere in grado di:
  • Riconoscere le motivazioni, anche etiche, per l’impegno nei confronti della prevenzione e della gestione del rischio clinico nella pratica professionale quotidiana
     
  • Applicare una metodologia appropriata nella propria pratica professionale per:
    - identificare i rischi clinici ed i relativi determinanti nella specifico contesto professionale e prevenirli
    - scegliere ed applicare interventi per la gestione degli eventi avversi e delle relative conseguenze che tengano conto del rapporto costo/beneficio
    - concorrere alla adozione di soluzioni per la prevenzione
  • Identificare le funzioni connesse al rischio per le diverse figure professionali e le relative responsabilità ed adottare coerenti comportamenti a livello individuale e nella organizzazione
     
  • Istruire i pazienti, i familiari, i volontari e gli operatori per la identificazione dei rischi, la prevenzione, la protezione dagli stessi, nonché la gestione dei danni e delle relative conseguenze
     
  • Fornire strumenti per la valutazione del benessere organizzativo e lavorativo degli ambienti di lavoro, per la corretta gestione delle risorse umane, per la coerente valorizzazione delle professionalità, per la prevenzione e il trattamento delle criticità derivanti dallo specifico ambito sanitario.
Come accedere al corso
Chi non si fosse ancora registrato alla piattaforma per accedere al corso deve farlo, passando prima dal sito dell’IPASVI www.ipasvi.it/fnomceo ; quindi si riceverà una password per accedere direttamente alla piattaforma FadInMed.
Chi avesse già affrontato il corso sull’RCA o sull'Audit clinico può accedere al nuovo corso collegandosi direttamente alla piattaforma (www.fadinmed.it).


venerdì 16 marzo 2012

SEDI DI INIEZIONE INTRAMUSCOLARE
(PARTE 1)

Ecco uno di quegli argomenti che sicuramente destano interesse in tutti gli Infermieri.
A chi non è mai venuto il dubbio se la sede prescelta per una iniezione fosse veramente la migliore?
Oppure,chi non ha mai avuto problemi nel trovare una sede di iniezione alternativa in caso quella ideale fosse inutilizzabile?

Ecco qua una breve sintesi che spero faccia comodo a tutti!

SEDE DORSOGLUTEALE


Tradizionalmente la più famosa e usata, ma non per questo la migliore. La presenza di vasi sanguigni e grossi nervi (Arteria gluteale superiore, Nervo sciatico), la relativa lentezza di assorbimento rispetto ad altre sedi e il duro strato adiposo presente rende questa sede quella maggiormente connessa alle complicanze.Inoltre non puo' essere utilizzata con paziente in piedi, solo prono o in decubito laterale.


SEDE DELTOIDEA



Le iniezioni muscolari nel muscolo deltoide, come le altre iniezioni I.M, devono essere effettuate nella parte più compatta del muscolo. A causa delle piccole dimensioni di questa sede, il volume ed il numero delle iniezioni che possono esservi somministrate deve essere limitato.
Viene utilizzato soprattutto per iniettare vaccini.



SEDE VASTOLATERALE



E' rappresentato dal terzo medio della coscia, compreso tra il grande trocantere del femore e il condilo femorale laterale del ginocchio.
E' di facile accesso e non sono presenti grossi vasi sanguigni o strutture nervose.



SEDE RETTOFEMORALE




E' localizzata a metà tra la rotula e la cresta iliaca superiore, sulla zona medio anteriore della coscia.
L' assorbimento del farmaco in questa regione è più lenta rispetto al braccio, ma più rapido che nella natica. Può essere utilizzata quando le altre sedi sono controindicate o quando il paziente si somministra il farmaco autonomamente.
Il più grosso svantaggio è che l' iniezione praticata in questa sede provoca considerevole dolore.



SEDE VENTROGLUTEALE



Anche se pochi lo sanno questa è la sede elettiva per le iniezioni intramuscolari.
E' facilmente accessibile per la maggior parte dei pazienti, molto utile in pazienti allettati.
Si trova facilmente posando il palmo della mano opposta (ad esempio mano dx sul fianco sx) sul grande trocantere ponendo il dito indice sulla spina anterosuperiore e con il medio che si muove dorsalmente localizzare la cresta iliaca.
Il triangolo compreso tra l' indice ed il medio rappresenta il sito di iniezione.

Questa  sede  assicura  il massimo  spessore  del  muscolo  gluteale  (costituito  sia  del  gluteo medio  che  del  gluteo  minore), è  libera da nervi penetranti, da vasi sanguigni e ha un più stretto spessore di strato grasso che non nella zona dorsogluteale.


Spero di esservi stato utile!!

giovedì 15 marzo 2012

Pressione sanguigna, meglio misurarla su entrambe la braccia

 

Pressione sanguigna, meglio misurarla su entrambe la braccia 02/02/2012 - Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, è sufficiente una piccola variazione tra i due arti per ritenere un paziente a rischio di malattie cardiovascolari.
Uno studio del Peninsula College of Medicine and Dentistry dell'università di Exeter (Inghilterra) pubblicato su The Lancet, sostiene che una differenza significativa tra i valori pressori rilevati nelle due braccia rappresenta un segnale di allarme di possibili malattie vascolari.

I ricercatori britannici hanno riesaminato - e analizzato - i dati di 28 studi precedenti, nel corso dei quali erano state registrate differenze pressorie tra il braccio destro e quello sinistro dei volontari e la conclusione a cui sono giunti è che è sufficiente una variazione di 10 millimetri di mercurio nella pressione dei due arti per ritenere un paziente a rischio di malattia vascolare periferica (Pvd) asintomatica.
Questo tipo di patologia si riferisce all'ostruzione, parziale o totale, dei vasi sanguigni che irrorano sia le gambe che le braccia.  
Se, invece, lo scarto tra i valori rilevati supera i 15 millimetri di mercurio, l'interpretazione è quella di un sensibile aumento del rischio di malattie cerebro-vascolari, una crescita del 70% della mortalità per patologie cardiache e del 60% del rischio di morte.

Secondo gli scienziati, una diagnosi precoce della Pvd è molto importante, poiché può evitare ai pazienti future patologie ben più gravi.
Calcolare lo scarto di pressione tra le due braccia di un paziente, utilizzando un tradizionale sfigmomanometro, è un'operazione semplice che può consentire di porre rimedio velocemente alla situazione, invitandolo a smettere di fumare o sottoponendolo a terapie farmacologiche per abbassare la pressione arteriosa.

Quanto è stato scoperto dovrebbe rendere la misurazione brachiale bilaterale della pressione un esame di routine da inserire nei protocolli sanitari rivolti all'ipertensione, divenendo anche un vero e proprio metodo di screening della malattia vascolare periferica.

sabato 10 marzo 2012

Il vagito del primo Blog Infermieristico di Prato

Ed eccoci qui, era un po' che avevo intenzione di creare un blog del genere.
Non so ancora come incentrarlo pero', subirà una lenta evoluzione.
L' intenzione primaria è quella di fare di questo blog un canale di condivisione di esperienza e poi perchè no, anche un umile punto di riferimento per notize riguardanti la professione Infermieristica ,corsi d' aggiornamento, articoli interessanti ed altre importanti utilità se possibile.

Fatemi un in bocca al lupo e ci vediamo al prossimo post!